Goliardìa fiorentina nell’etichetta: il “Soffocone di Vincigliata”

Chiamereste un vino di vostra produzione “Soffocone”? Bibi Graetz, famoso produttore di vini dell’omonima azienda vitivinicola di Vincigliata l’ha fatto, e ha riprodotto il “concetto” espresso dal nome anche nella corrispondente etichetta.

La cosa curiosa sta nel fatto che, a Firenze, come del resto in molte parti della Toscana, la parola “soffocone” ha un significato piuttosto “sanguigno”, per usare un eufemismo. Sebbene originario della Norvegia, infatti, Graetz ha assorbito la tradizionale goliardìa fiorentina, pensando bene di chiamare questo suo vino con la parola che che designa in modo estremamente colorito e volgare l’atto della fellatio. E provate a indovinare perchè…

E’ stato lo stesso Bibi Graetz a spiegare il motivo di questa sua estrosa scelta: la località di Vincigliata, in cui la tenuta vinicola di sua proprietà sorge, con  centro nel famosissimo castello omonimo a pochi passi da Fiesole, è infatti famosa come luogo dove “infrattarsi”; è nota cioè come ritrovo tipico delle coppiette che si appartano.

soffocone di Vincigliata - Bibi GraetzPer completare l’opera, però, Bibi ha fatto di più: essendo un artista-viticultore, che oltre a produrre vino è anche pittore, disegnatore ed incisore, ha abbinato al nome un’etichetta appropriata: quella ancora oggi visibile su ogni bottiglia di Soffocone di Vincigliata. Anche se incisa all’acquaforte e piuttosto stilizzata, si riconosce agevolmente (almeno una volta saputo il significato del nome) una donna nuda inginocchiata, ed è facile a tale punto immaginare a quale scopo.

Curiosità nella curiosità, questa etichetta ha causato problemi al produttore vinicolo negli USA, dove ha dovuto ritirarla e immettere sul mercato bottiglie con un’etichetta diversa. Negli USA infatti è vietato esporre etichette con riferimenti violenti, sessuali o relativi a sostanze  nocive (come il tabacco) e per conseguenza, dopo esserselo bevuto per diversi anni in santa pace, gli americani hanno infine imposto il cambio di etichetta dopo che l’autorità preposta è venuta a conoscenza del significato della medesima, correlato ovviamente al nome del vino.

Da Bibi Graetz, del resto, una cosa del genere si poteva ben aspettarsela: il vino di punta della sua azienda si chiama infatti “Testamatta”, e ci sono pochi dubbi sul fatto che il pittore-viticoltore volesse con tale nome alludere alla sua estrosa vena immaginativa. D’altra parte, il produttore italo-norvegese non è l’unico nè il primo che applica al vino immaginifici nomi con chiari riferimenti sessuali: sempre in Toscana ricordiamo, fra tutti, il famoso merlot “Topa Nera” del mitico Gino “Fuso” Carmignani di Montecarlo (provincia di Lucca, non Principato di Monaco).